Qualche giorno fa ho approfittato del bel sole per scendere in spiaggia e fare una piccola ricognizione. Ricordo ancora le uscire quando ero più giovane, dopo il maltempo, alla ricerca di chissà cosa trasportato dall’acqua o emerso dal mare. Non ho trovato mai nulla di eclatante, a parte un sacco di plastica.

Zolla con steli di cipolla

L’eccezionale quantità d’acqua piovuta lo scorso fine settimana ha prodotto, comprensibilmente, un effetto “spurgo” nelle reti di raccolta cittadine, liberandole da ogni ostacolo naturale o artificiale. I canali ora sono lindi, come appena puliti, con la sola differenza che c’ha pensato la forza di madre natura a fare il lavoro, travolgendo e portando con se tutto quello che trovava sul suo cammino.

Ed oggi sono qui a documentare alcune cose notevoli adagiate sulla spiaggia cittadina, portate “dal mare” ma provenienti dalla città: il moto ondoso infatti ha riposto sulla spiaggia i rifiuti trasportati dall’acqua piovana, quasi a dirci che lui, il mare, la nostra spazzatura non la vuole.

Ci sono, comprensibilmente, moltissimi elementi organici. Ad esempio, sono presenti moltissime zolle di terra coltivata con annessi bulbi, che potremmo identificare in delle cipolle. I danni alle superfici coltivate in fondo sono ingenti, e chissà quale povero agricoltore – o quanti poveri agricoltori – hanno visto galleggiare via i lembi più estremi dei loro terreni, magari nei pressi di un torrente o di un valloncello che si è rapidamente riempito d’acqua.

Una cipolla

È comunque strano notare come lungo tutto il tratto cittadino, e specialmente nel tratto che va dalla Passerella al cimitero, si trovino quasi esclusivamente questo tipo di radice. Ci sono ovviamente anche altre diverse piante ed ortaggi (pare di riconoscere almeno qualche scalogno), ma i lunghi fusti verdi, ancora ritti seppur oramai morenti, prevalgono nettamente.

Con il passare dei giorni gli steli si seccheranno e le radici, che rimarranno di un bianco intenso anche per qualche settimana, saranno ben visibili e distinguibili lungo la spiaggia. Anche perché il resto, specialmente il bagnasciuga, è un tappeto di alghe e lìppo, che nell’arco di qualche giorno assumerà quel tipicolo colore marrone/nero, rendendo ancor più distinguibile il mare di bulbi nascosti.

Viene da chiedersi da dove arrivino, visto che sono così tante e che sono sparse lungo quasi due chilometri di spiaggia. E chissà cosa c’è poco al di fuori della città, magari dopo il cimitero o verso Gabella. Avessi del tempo, andrei a farmi una bella scampagnata, anche perché queste mareggiate poderose sui fondali un po’ più profondi (come a Gabella e Margherita) favoriscono il ritrovamento di grandi conchiglie spesso ancora intatte, oltre a grandi pezzi di legno o tronchi. Insomma, un piccolo tesoro per gli appassionati.

Un’oliva solitaria

Ma torniamo a noi, e non dimentichiamoci che la spiaggia, per certi versi, la potremmo paragonare ad una sorta di cucina. Individuabili anche molte carcasse di piccoli animali, non solo marini: diversi topi lungo tutto l’arenile, ma anche seppie e piccoli crostacei. Questi lasciano il tempo che trovano, e nell’arco di qualche ora avranno garantito il crudele pasto della catena alimentare.

Oltre alle cipolle, c’è un altro vegetale molto presente: olive. Se potete raccogliere sacchi di cipolle, potete raccogliere anche pugni di olive. Ce ne sono a migliaia, nascoste tra la legna, tra le radici, a mollo in acqua. Anche in questo caso, deve essere stato colpito piuttosto violentemente un campo poco fuori città, visti anche tutti quelli presenti nei valloni poco oltre la 106.

A differenza delle cipolle, che in questo periodo sono ancora piantate e attendono la stagione della raccolta, le olive sono già state raccolte nella stragrande maggioranza dei casi. Tuttavia, non tutti gli alberi sono effettivamente curati, nè tantomeno i campi sono sempre frequentati. Resterà da capire a quanto ammonta il danno, vista la quantità di “frutto” che non si trasformerà in olio.

Rifiuti sparsi

Non troviamo però solo materiale organico. Immancabile è la presenza di numerosi prodotti di scarto umani, prevalentemente plastica, gomma, alluminio, metallo e finanche carte e cartoni. Nella foto principale ho voluto riprendere un bidoncino spiaggiato vicino casa: una tanica molto spessa con il simbolo di pericolo ambientale. Quella tanica conteneva chissà quale sostanza nociva, e prima di finire li, steso, chissà che giro ha fatto.

Non possiamo sapere se la tanica sia stata trasportata da piena – e dunque si sia svuotata in acqua, inquinando ulteriormente l’ambiente – o se sia stata trascinata vuota. Fatto sta che è ancora li, e non mi resta che raccoglierla e adagiarla vicino ad un cassonetto sulla strada, sperando che qualcuno la recuperi e la smaltisca.

Ma non è l’unica: c’è veramente un sacco di plastica, adagiata sulla spiaggia o intricata tra le matasse di fili e radici. Secchielli, bottiglie, sedie, taniche, buste, tendoni, scarpe, ciabatte, giocattoli. Tutta roba che, verosimilmente, era buttata in qualche canalone o per strada, e che è stata trasportata fin qui.

Un serbatoio

Come spiegare altrimenti la presenza di un serbatoio per automobile? Un’intero serbatoio, con tutti i suoi componenti sia in plastica che in metallo, è arrivato fino ai piedi dei gradoni. Certo, da vuoto non è molto pesante, ma è difficile credere che sia uscito da un’officina allagata. Si tratta, a tutti gli effetti, di un rifiuto abbandonato da chissà chi e chissà dove, che ha finito il suo ciclo di vita non riciclato, ma su una spiaggia.

In questo caso è difficile anche solo capire cosa fare: non è detto che toglierlo da li sia la soluzione migliore, in quanto, a differenza dei semplici oggetti di plastica di uso comune, se è stato usato contiene una serie di inquinanti collegati alla benzina, e dunque necessita un processo di smaltimento e trattamento differente. Brutto a dirsi, ma bisogna lasciarlo li e chiamare l’Akrea per farlo rimuovere.

Questo è sicuramente l’oggetto più strano, assieme a tanti copertoni (spesso alcuni attaccati ancora ai foratini) e diversi altri pezzi di auto e moto come specchietti, manopole e antenne. Fotografare tutto avrebbe reso questo post acora più noioso di quanto non sia, anche perché buona parte dei rifiuti sono noti e “abitudinari” sulle nostre spiagge, anche in piena estate.

A questo punto, l’unica cosa da fare è pulire. Cercare di togliere quanto più possibile dall’arenile, arrivando almeno a ciò che può essere raccolto con mano. Un’operazione lunga anche se non troppo stancante, che servirà ad evitare che la prossima ondata di maltempo – prevista tra qualche giorno – possa trasportare il tutto in mare. Anche perché, a fronte di una nuova ondata di forte pioggia, la spiaggia tornerà a sporcarsi come sempre.

Tutto questo papello solo per dare una testimonianza di ciò che le mareggiate portano ogni santa volta: non tesori nascosti, non inimmaginabili carcasse, ma rifiuti. E, come volevasi dimostrare, al di fuori del periodo estivo non c’è alcuna associazione ambientalista pronta a scendere in spiaggia a dare una pulita. Tolti i riflettori dell’estate (o delle elezioni, come quest’anno), a pulire la spiaggia resta un manipolo di residenti che giorno dopo giorno si chiede “ma chi ce la fa fare”.

Aggiornamento: segnalato il problema agli addetti dell’Akrea, questi hanno provveduto a raccogliere il grosso, compreso il serbatoio dell’auto. Grazie!

Una risposta a “Cosa ci ha portato l’acqua”

  1. […] ad insistere dei rifiuti pericolosi da smaltire. Si tratta di quel famoso serbatoio per auto che avevo segnalato già a fine novembre, e che sta ancora li. Per adesso mi limiterò a spostarlo sui gradoni in attesa di sapere che cosa […]

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