Al poco interesse per i referendum sulla giustizia segue oggi uno scarso interesse al commento delle parti politiche tirate in ballo. L’esito del voto infatti era scontato, ma il risultato è stato ben più basso del previsto, e come se non bastasse il Si non ha neppure avuto una larga maggiornaza. Inutile ripeterlo, ma al netto di un non-voto politico, fatto apposta per non aiutare il raggiungimento del quorum, anche chi si è recato alle urne ha votato convintamente contro le modifiche così care al centro-destra.

Il disinteresse verso l’esito dei referendum in fondo è proprio quanto voluto dalla Lega, che in fondo sapeva bene di andare in contro ad una sonora sconfitta. Qualcuno ha parlato di censura, ma la verità è che nessuno dei partiti coinvolti si è impegnato più di tanto: sono temi estremamente impopolari, che forse non sarebbero passati neppure con l’approvazioni dei restanti quesiti referendari (che certamente avrebbero fatto raggiungere il quorum).

Adesso si delinea un riassetto interno ai partiti, visti anche gli esiti delle amministrative con Fratelli d’Italia che ha definitivamente superato la Lega, o con il Movimento 5 Stelle crollato al suo minimo storico. Il peso degli “alleati” sarà lo stesso, da oggi in poi? Vedremo.

Quello che rimane, al momento, è una politica nazionale impantananta in un gioco che forse non riesce più a spiegarsi. Chi voleva abrogare delle leggi con un referendum si trova al tavolo delle trattative con il governo per le modifiche alle medesime norme, e la giustizia – che si, andrebbe riformata, ma in altri modi, non alleggerendo la sua pressione sulla classe politica – è ostaggio di una propaganda che la allontana sempre più dall’equità e dalla ragionevolezza.

Dopo i manettari, tornati in auge in tempi recenti, ora sono tutti iper-garantisti. Nel mentre non ci si riesce più a focalizzare sul concetto di giusta pena, di digitalizzazione, di interfacciamento informatico, di limitazione delle controversie presentabili. Sempre che tutto questo ci sia mai interessato.

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