Qualche settimana fa ero soddisfatto perché le mie cucuzze erano finalmente spuntate, ma la felicità è durata solo qualche giorno: il continuo cambio di temperature, l’alternarsi di afa stagnante a venti freddi, aveva fatto seccare ogni frutto, e le piante erano tornate completamente vuote.

Come saprete, le zucche in generale occupano molto spazio nell’orto, sopratutto se si tratta di un’orto urbano. Nel mio caso, sette piante hanno riempito quattro sacchi neri di spazzatura, tanto erano ramificate ed intorcigliate alla recinzione. Immaginate la frustrazione di rimuovere il tutto senza raccogliere neppure un frutto, dopo mesi di cure ed attenzioni.

Ebbene, convinto di non potermi fare neppure una cucuzzata quest’inverno, arrivo all’ultima pianta che scìppo con vigore, e: sorpresa. Una cucuzza c’era. Poggiata, incredibilmente, in orizzontale sul muro divisorio. E nonostante ciò si è pure allungata per circa un metro.

Inutile girarci intorno, è veramente poca roba: da sette piante contavo di avere almeno altrettanti frutti, ma ogni fiore che si sviluppava finiva per annerirsi col vento. Almeno, non tutto è andato perduto, e quest’inverno un piatto caldo (ma forse anche due) si recupera.

Tutto questo per ribadire quanto sia difficile credere all’autoproduzione, e quando sia variabile la natura nei confronti dei suoi stessi elementi. Al netto di ciò, però, almeno ho mangiato pomodori in abbondanza e prodotto fin troppi peperoncini.

Ma il discorso si conclude sempre allo stesso modo: ne vale davvero la pena?

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