A Crotone più di qualcuno ama ripetere che l’estate finisce davvero solo quando riaprono le scuole. In un certo senso è vero, perché effettivamente le strade, letteralmente, si svuotano. E così anche le spiagge.

Fino a pochi giorni fa era un tripudio di ombrelloni, tavolini, sdraio, palloni e musica. Adesso c’è solo qualche sparuto bagnante: si riescono a riconoscere i locali, gli abitanti del lungomare, per mesi mimetizzati nella folla dei bagnanti-vacanzieri.

I locali del lungomare liberano il passaggio, tolgono i tavolini, le luci, gli allestimenti. I lidi smontano cabine ed ombrelloni. È finita. Anche quest’anno è andata. E vi dirò: in un certo senso era ciò che attendevo.

L’avrò già scritto chissà quante altre volte, ma adesso si riaffaccia finalmente quel rapporto intimo con la spiaggia, con il mare. Quel rapporto che solo chi vive tutto l’anno conosce. Quei colori, quegli odori di chi il mare lo vive non solo d’estate.

Ogni anno attendo questo momento. Dopo la piacevole vitalità dell’estate, attendo il cupo e profondo rombo delle onde, quel boato sordo dell’acqua sugli scogli che per mesi non ho udito, nascosto da risate e musica, dal traffico e dai fuochi d’artificio.

E rivedo le facce perse di chi fissa l’orizzone, senza sorrisi o smorfie sul volto, a perder tempo. Gli occhi vispi di chi pesca (o spera di pescar qualcosa) e ti scruta da lontano. La poca gente che passeggia e parlotta da sola, ragionando chissà chè.

Ognuno con il suo rapporto stretto con un mare che torna, finalmente, una cosa propria.

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