Non avevo mai letto il Manifesto di Ventotene. Ne ho approfittato poco fa, grazie all’inziativa editoriale in occasione della “Piazza per l’Europa” che si accinge a svolgersi in questi minuti. Non so come andrà, questa manifestazione alla quale in tanti hanno aderito, pur sempre con il rischio di uno scarso coinvolgimento popolare. Perchè l’idea stessa di Europa non è al massimo del suo splendore, e troppe ombre aleggiano su quell’unità che invece appariva come così naturale appena ottant’anni fa.
Eppure, gli spettri che ci spaventano non sono cambiati. Nello spiegare la crisi della società moderna (riferita al 1941), leggiamo infatti che:
La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente mi- nacciato dalla potenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti
Quale migliore raprresentazione del nostro contesto attuale? Potrei continuare con una serie notevole di parallelismi, ma, se non l’avete ancora fatto, sarebbe meglio recuperare il testo e leggerlo. Sono poche decine di pagine, disponibili tra l’altro gratuitamente sul sito del Senato. Perchè si capisce sin da subito, perchè è uno dei testi fondativi dell’Europa.
Ma… è anche vero che il futuro ipotizzato da Spinelli e Rossi non si è avverato proprio per come previsto. Certo, il loro punto di vista era di stampo socialista, quindi tanto contro le destre reazionarie (colpevoli di voler restaurare i regimi autoritari) quanto contro i comunisti (colpevoli di voler riproporre lo stesso schema reazionario frammentando però i lavoratori). Potremmo discutere per ore di questa visione, che al tempo doveva animare non poco gli animi, ma non ne varrebbe la pena.
Quello di cui vale la pena discutere, semmai, sono le avvertenze messe nere su bianco già al tempo, ottant’anni fa. Quando gli ideatori di questa Europa avvertivano dal pericolo del “controllo economico” da parte dei grandi gruppi capitalisti (nazionali o esteri), che avrebbe finito per sottomettere anche la migliore democrazia. Situazione che oggi vediamo plasticamente concretizzata oltreoceano, oltre che in Europa, dove si punta a “svendere” le economie al miglior offerente impoverendo non solo i singoli Stati, ma la stessa Unione.
Ed ancora, avvertivano circa la “narrazione reazionaria” di nuovi nemici, identificati negli stranieri non solo oltre i confini dell’Europa, ma anche all’interno della stessa. Europei contro europei, per far felice chi? Oggi, nuovamente, l’occhio è puntato oltreoceano, con gli Stati Uniti che puntano a destabilizzare l’Unione anche a livello sociale e politico, oltre che economico. Un soffio che alimenta però una fiamma mai davvero sopìta, quella dei nazionalismi che ogni Stato ultimamente è pronto a rispolverare.
Eccoci quindi all’ultimo avvertimento, dopo aver ripercorso la strada che un po’ tutti riconoscono come apripista per nuovi totalitarismi, per nuove guerre: non rassegnarsi al pacifismo passivo. Perchè già ottant’anni fa (e chissà quante altre volte prima di allora) era stato chiarito che non bastano nè gli accordi commerciali nè quelli diplomatici, ad evitare guerre e conflitti. Guerre e conflitti che scoppiano sempre alla ripresa della narrazione reazionaria, quando ogni singolo Stato pensa che debba “tornare grande”.
Oggi non so come andrà la manifestazione di Roma, ma spero sarà partecipata e seguita. Perchè è chiaro che ci troviamo in un momento che, in un modo o nell’altro, deciderà parte del nostro futuro.
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