A proposito di prepotenza che dilaga, c’è comunque da dire che la tendenza autoritaria non è nuova, e si è andata acuendo in questo primo quarto di secolo. Ne abbiamo una nuova prova in quella “democratica” Turchia di Erdoğan, dove a pochi giorni dalle primarie per le presidenziali è stato arrestato – guarda caso – il principale oppositore del presidente in carica. Pare addirittura che già lunedì fosse stato revocato il titolo accademico ad Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, finito al gabbio assieme ad un altro centinaio di persone.
L’accusa, per tutti, sarebbe quella di corruzione. Tra gli arrestati figurano anche molti uomini d’affari e – guarda caso! – giornalisti non sempre clementi con la politica turca. Il voto si sarebbe svolto questa domenica, e sarebbe servito per scegliere i candidati alla prossima tornata presidenziale, in programma nel 2028. Di tempo insomma ancora ce ne vuole, ma così facendo uno dei principali oppositori di Erdoğan sarà automaticamente fuori dai giochi.
La Turchia non è nuova a certe cose: non sono passati neppure dieci anni dal tentato colpo di stato del 2016, i cui contorni non sono ancora del tutto chiari tra accuse reciproche e mezze ammissioni. Più dei carri armati che bloccarono l’accesso ai ponti sul Bosforo, ricordiamo le repressioni attuate nei confronti dei manifestanti e dei dipendenti pubblici, con quasi centomila epurazioni (oltre al divieto di espatrio).
Rispetto a quelle scene, l’arresto reso noto oggi è poca roba. C’è comunque da fare due considerazioni: la prima è l’intrinseca pericolosità del presidenzialismo, che stiamo vedendo all’opera (nelle sue sfumature peggiori) non solo in Turchia, in Russia, in Inda o in Israele, ma anche negli Stati Uniti. L’uomo solo al comando è pericoloso per sua natura, ed i “meccanismi di compensazione” o “di bilanciamento” sono spesso assoggettati al suo stesso controllo.
La seconda, invece, è la pericolosità del concetto sovranistico “ognuno a casa sua fà ciò che vuole“. Questi eccessi d’azione di fatto non temono ripercussioni esterne, e sono così più spregiudicati. Quando Erdoğan ritirò la Turchia dalla Convenzione di Istanbul ci furono proteste e interrogazioni formali, che non portarono assolutamente a nulla. Ed a furia di disconoscere regole, convenzioni, leggi e quant’altro, ognuno può tornare al proprio feudo, in tutti i sensi.
La regressione politica e sociale della Turchia è oggi tamponata dalle innumerevoli fiction che ci arrivano a buon mercato, seguite da spot turistici istituzionali ed accordi commerciali con Turkish Airlines dal valore di milioni di euro per collegarci al vicino oriente. L’utile e il dilettevole. Ma come si può ritenere la Turchia un paese affidabile o anche solo “amico”, con questi chiari di luna?
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