Questa tranquilla giornata di pasquetta è stata rovinata da uno spettacolino inscenato sul lungomare cittadino, dove si è consumata una sorta di “rissa familiare” tra alcuni soggetti del posto. In buona sostanza, una parte dei familiare tentava di far desistere (a suon di pellére) uno di loro dal continuare ad insultare dei poliziotti, che stavano svolgendo un controllo sul loro gazzebo posizionato in spiaggia.
Evidentemente si dovevano conoscere, dato che il ragazzo (apparentemente brillo) continunava a chiamarne uno per nome, associandolo a non tanto simpatici epiteti come “cesso”, “scemo” e “brutto”. Nonostante gli schiaffi – belli forti – e persino un lancio in mare, questo continuava ad urlare e dimenarsi, togliendosi la maglia e correndo poi via proprio mentre giungevano sul posto altre volanti.
Di tutta questa vicenda, però, mi è rimasta impressa un’altra cosa. A parte la pacatezza degli agenti, che non hanno mai urlato nè usato la forza, limitandosi a parlare con i restanti componenti della famiglia, parlo delle urla di una donna, forse la madre del giovane, che continuava a ripetere “siete degli sbirri di merda“. In continuazione, tipo un disco in loop, finchè poi non è stata fatta sedere e calmare.
Il tutto è avvenuto sotto gli occhi di decine di persone, visto anche l’orario “da passeggiata”. E denota la noncuranza di un degrado che oramai tolleriamo ampiamente, fa quasi parte della nostra quotidianità, al punto che non lo percepiamo più neppure come un pericolo. E non un pericolo fisico, ma sociale, indice di una realtà manesca, urlatrice, non curante delle conseguenze del proprio operato, che incassa persino l’appoggio di qualche commentatore.
Certo, son cose che capitano. Ovunque. Ma capitano sempre più spesso. E sempre più spesso ci sono di mezzo non solo delle “teste calde”, ma anche i loro figli, già abituati a ripetere insulti ai poliziotti ed a vedere il proprio padre preso a schiaffi e pugni dal nonno in spiaggia, davanti a tutti. Come se fosse normale.
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