Sapete che non mi piace commentare i fatti di cronaca, se non in casi eccezzionali. In tante vicende (troppe? tutte?) c’è sempre qualche sciacallo che cerca visibilità su di un corpo morto: basti vedere la drôle de guerre sul caso Poggi, Visintin, Paganelli, e chi più ne ha più ne metta. Cibo da talk-show, spesso inutile e dannoso, ma sotto gli occhi di tutti. E menomale che avremmo dovuto imparare dal caso Scazzi…
Ad ogni modo, oggi vorrei riprendere il commento – sicuramente indelicato dato il momento – che ha fatto il governatore campano, a seguito del tragico ed assurdo omicidio di una quattordicenne di Afragola. Il commento in questione è il seguente: “È normale che una ragazza di 12 anni, che è una bambina, si fidanzi senza che nessuno dica niente? Per me è un problema“.
Com’era prevedibile l’affermazione ha sollevato un polverone, con tanti commenti altrettanto a sproposito. Però la questione non è affatto scontata. Perchè si parla di ragazzini, che di fatto non avevano alcuna forma di controllo da parte delle rispettive famiglie. Non è solo una questione maschio/femmina, ma è anche una questione “difficile”, per via dell’età e del loro contesto familiare.
Siamo stati tutti ragazzini, con le cotte ed i rifiuti del caso. Non ci scandalizziamo per l’età, nè più di tanto possiamo biasimare quella lunga lettera “d’amore” scritta dalla vittima al suo carnefice. Ma effettivamente, al netto di ciò, è peculiare il fatto che questo ragazzo (poco più che maggiorenne) avesse già aggredito la fidanzata con uno schiaffo. Ed a questo episodio non sarebbe seguito assolutamente nulla.
Ancor più grave il fatto che la madre della vittima abbia raccontato che la madre dell’assassino l’aveva avvertita, dicendole “guardati tua figlia”. Non era una minaccia, ovviamente, ma una meno evidente esautorazione genitoriale, uno scaricabarile di responsabilità: una madre che ammette (senza dirlo) di non avere controllo del figlio.
Certo, le tragedie succedono in ogni caso. Però qui è abbastanza evidente un senso di abbandono che spesso accomuna questi casi. Un disinteresse familiare, una forma di alienazione, che mal si concilia con le postume richieste di “giustizia” ed “ergastolo”. Richieste lecite e legittime, per carità, che hanno però una base instabile: la responsabilità chiesta allo Stato è quello che è mancata alle famiglie coinvolte.
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