Mancano poche ore all’entrata in vigore del silenzio elettorale in vista (anche) dei cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza. Un silenzio elettorale che non cambia poi di molto la situazione, visto il generale disinteresse per dei temi pur così centrali, divenuti però fin troppo “politicizzati” per poter essere affrontati o modificati. E così ci ritroveremo, lunedì sera, a commentare il mancato quorum di tutti i quesiti: si stima che l’affluenza sarà tra il 24 ed il 29 %, secondo me si arriverà anche al 30% ma difficilmente si andrà oltre. Vedremo.
Per quel che vale, senza cedere alla facile propaganda delle parti (neppure quella Cgil, essendo oramai appurato che le modifiche espresse riguarderebbero una platea di qualche milione di lavoratori), il mancato passaggio di queste richieste sarà un danno prima di tutti a noi stessi. Perchè in soldoni, i cittadini italiani – e dunque anche milioni di lavoratori – si laveranno le mani di questioni importantissime circa la tutela dei loro stessi posti di lavoro.
Questo è un dettaglio non da poco, perchè poi, sapete com’è, quando scatta il licenziamento illegittimo o il macato reintegro, o si viene sottoposti ad un misero indennizzo, ci si mette a protestare ed a sbattere i pugni sul tavolo. Ed allora ci si incatena ai cancelli delle aziende, si chiamano le emittenti televisive ed i giornalisti, si grida allo scandalo e si chiede “giustizia” e “rispetto” per il lavoro, che è un “diritto”. Ecco, magari andando a votare si potrebbe portare quella “giustizia” un po’ più dalla nostra parte, ma è oramai chiaro che non c’è l’interesse neppure da parte dei lavoratori.
Lo spartiacque – se così lo possiamo definire – è tra un mondo del lavoro sempre più deregolamentato ed uno più controllato. Lasciare controllo (e potere) eccessivo alle aziende produce ciò che abbiamo già sotto gli occhi: precarietà a vita, stipendi sempre più bassi a fronte di turni di lavoro invariati, demansionamenti, licenziamenti in tronco, interruzione dei contratti di lavoro a termine che quasi mai diventano indeterminati. Questi referendum non cambieranno tutto ciò, ma potrebbero rappresentare un punto di partenza per rimettere al centro la contrattazione sul posto di lavoro.
Se da una parte dal Cgil ed il centro-sinistra sbagliano a dire che questi referendum “cambieranno tutto“, dall’altro è evidente che il Governo ed il centro-destra sbagliano a dire che è tutto a posto così com’è. Il problema è, semmai, l’appiattimento al concetto del così è, che spingerà in tanti a non andare alle urne nella convinzione che oramai il mondo del lavoro è così e poco si possa fare per cambiarlo. Ed ovviamente è davvero così, se poi non si ha la volontà di farlo (neppure andando ad imbucare una scheda in uno scatolone).
Discorso del tutto simile per il quesito sulla cittadinanza italiana, che tanto farebbe bene a milioni di persone. Per questo quesito è logico ipotizzare uno scenario diverso, con un maggior numero di voti contrari dato che in molti esprimono pubblicamente il loro dissenso per la questione. Ma ovviamente, vedremo come andrà in questo fine settimana, con la speranza (ultima a morire) di poter essere contraddetto.
Lascia un commento Annulla risposta