Domani si concluderà un progetto che mi ha accompagnato negli ultimi anni, ossia il Collettivo del Manifesto. La decisione era nell’aria, al punto che la decisione di chiudere tutto è stata fuorchè un fulmine a ciel sereno. Anzi, al contrario, il minimo interesse della stessa redazione – che ovviamente ha ben altro da fare – aveva già lasciato intendere un progressivo allontanamento dal progetto.
Nel corso del tempo erano scemate diverse possibilità interessanti, a partire dal Manifesto Città, progetto che non ha mai preso vita. Il collettivo doveva essere uno spazio di discussione tra abbonati e sostenitori, ma si è rivelato più che altro come una sorta di grande stanza vuota, un contenitore senza struttura, dove il dibattito (che pur c’era) si appiattiva a meri commenti generici alle poche (pochissime) notizie selezionate.
Per certi versi, il funzionamento del collettivo ha rimarcato quello dei social network, dai quale avrebbe dovuto distinguersi. Le dinamiche in fondo sono sempre quelle. Al netto di tutto, però, è stato un importante contenitore di conoscenza, almeno tra chi, come me, partecipava più che altro come lettore. Tanti spunti, tanti appunti, tante informazioni importanti ed interessanti per una formazione politica, sociale, filosofica, artistica, e persino generale.
Il fallimento di questo progetto (scarsamente utilizzato a fronte delle centinaia di migliaia di abbonati) ci pone però davanti ad un dilemma: qual’è la base dei lettori del Manifesto? Perchè per quanto siano aumentante vendite ed abbonamenti – al netto dei contributi pubblici – è una platea sempre più difficile da identificare e sopratutto sempre più fumosa.
Cio è ancora più evidente quando lo stesso giornale cerca di dare uno spazio ai propri lettori, senza però riuscirci. Gestire una sorta di forum non è poi così gravoso, ma è evidente che a questo punto si possano preferire risorse più generali come, per l’appunto, i social network. Anche perchè il lavoro in redazione non è poco, e non è così assurdo capire che si preferisce dedicarsi ad altri progetti (come ‘sti podcast) anzichè ad altro.
Siamo però di fronte ad un bivio, dove un giornale che rappresenta ancora una palestra di critica (almeno per chi è abituato a leggere gli articoli per intero) rischia di appiattire se stesso ad una voce di piazza discutibile, fatta di urla e sbandieramenti per partito preso, imitanto una certa stampa e certi talk-show che tanto stanno facendo fortuna in questi tempi.
Vedremo. Intanti perdiamo un luogo di confronto interessante ed indipendente.
Lascia un commento Annulla risposta