Oggi mi è capitato di frequentare un corso obbligatorio sugli unconscious bias, conosciuti anche come stereotipi impliciti. Curiosamente, si tratta almeno del secondo corso sull’argomento che seguo quest’anno: il primo rientrava nella formazione obbligatoria dell’OdG, il secondo invece ci è stato “proposto” dal datore di lavoro.
È un argomento interessante, perchè nessuno di noi è esente da questo tipo di pregiuzio. E proprio per questo è spesso difficile riconoscere un bias, fraintendendolo per una preoccupazione inopportuna. Ma è al contempo un argomento spinoso, che non riguarda solo ed esclusivamente la persona in quanto tale o il giudizio che le attribuiamo.
Un conto, ad esempio, è avere atteggiamenti sessisti sul posto di lavoro (comprensivi delle classiche “battutine” difficili a morire), un altro paio di maniche invece è affrontare un tema come la maternità. Ed a tal proposito: è davvero così sbagliato pensare che una neo-mamma abbia meno forze/tempo da dedicare al lavoro? Personalmente, non capisco perchè questo mio ragionamento – sicuramente non universale, per carità – sia da considerare uno stereotipo implicito, e dunque sbagliato.
Allo stesso modo il tema della disabilità, affrontato in modo molto semplicistico con il solito refrain che i disabili possono fare tutto. Cosa che è verissima e sacrosanta, ma che non può esimerci da valutazioni caso per caso, e che non può essere una pretesa. È davvero corretto credere che sia possibile assegnare compiti ad elevata mobilità (come trasferte internazionali, lunghi viaggi ecc.) ad una persona in sedia a rotelle, il tutto a prescindere? Personalmente non credo, ed anzi credo che si cada proprio in una generalizzazione, quel tipo di bias che si vuole combattere.
A tal proposito, è doveroso aggiungere che i consigli per contrastare questi pensieri siano sostanzialmente degli inviti al pensiero critico, sopratutto a non semplificare. Parola che è stata ripetuta più volte nei vari corsi, e che mi accende un campanello d’allarme. Viviamo in una società tecnologica dove “semplificazione” è la parola d’ordine. Cerchiamo aiuto ed assistenza in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, con l’obiettivo di fare tutto “meglio”, in maniera più “ottimizzata” e dunque più velocemente rispetto al passato.
Come può questo aspetto caratteristico e contraddistintivo della nostra quotidianità permettere un pensiero critico?
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