Da quello che sappiamo (e ne sappiamo davvero poco, di concreto) pare che Pitagora fosse un tipo piuttosto schivo, al netto del suo ruolo e delle decisioni apicali che prese anche al di fuori degli ambiti umanistici. E se ciò fosse vero, chissà cosa penserebbe al giorno d’oggi: che il suo nome è diventato una marchetta.

Di cose pitagoriche non discorrere senza lume. Questo sarebbe uno dei simboli che ci sono stati tramandati ed attribuiti niente poco di meno che al saggio filosofo. Se sia vero o meno non possiamo dirlo, certo è che al giorno d’oggi di cose pitagoriche si fa un gran parlare. Potremmo dire, senza troppa malizia, che si sta cercando di monetizzare (nuovamente) la figura di Pitagora. Una sorta di branding, con tutto ciò che ne consegue.

Ma mettiamo da parte la malizia. Parliamoci chiaro: Pitagora ormai è solo una parola. Una parola che ci sforziamo di tenere in vita, collegandola ad una figura che spesso neppure conosciamo. E dunque Pitagora può essere tutto e niente: può essere una piazza anche quando gli attribuiamo figure sbagliate. Può essere una statua che raffigura un’immagine stereotipata, diversa da quella in voga un secolo fa e puramente fantasiosa. Può essere un concetto matematico o geometrico, che però non conosciamo.

Ma ancor di più, Pitagora è un riferimento. Una di quelle cose da tirare in ballo quando si parla svogliatamente del più e del meno. È un riferimento quando vorremmo dar lustro ad un territorio, ricordando solo il bello di un’esperienza che si concluse con una cacciata. È un concetto astratto perché antico, giusto perchè arcaico, e dunque già di per se snaturato.

Questa immagine, sbiadita ed adatta a romanzetti patinati e racconti smielati, fortemente privata di ogni dettaglio reale o quantomeno verosimile, non fa altro che diventare un oggetto. Un feticcio. Perché si sa, come spiegava Karl Marx, che il valore della merce-feticcio è inesauribile. Ed allora Pitagora è semplicemente un qualcosa di accaparrarsi, e diviene anche motivo di contesa tra due territori.

Ma così facendo, anche il più importante oggetto, il più illustre collegamento, perde valore. Non perché non ne avesse in principio, sia ben chiaro: ma perché quella sua importanza viene così svuotata, nel tempo, da chicchessia. Il feticcio continuerà ad essere un bene vendibile, ma che ne rimane, oggi, di Pitagora?

Oggi, Pitagora è solo una parola. È una statua, una teca, un quadro, un motivo di ricerche e di studio ma anche un modo per pretendere di parlare di cultura. È un concetto usato ed abusato. Svilito. Ma anche viturperato, per rimanere in tema di significati arcaici. Pitagora è anche il nome di un grande magazzino di cineserie, e i grossi scatoloni sudici che si imbarcano da Dalian, Ningbo, Qingdao, Qinhuangdao, Shanghai, Shenzhen e Tianjin per portarci una marea di roba inutile, hanno scritto anche loro, con un pennarello, “Pitagora“, “Pittagora” o “Pitangora“.

Anche quella roba inutile verrà comprata, usata e gettata, in nome di un consumismo che continuiamo a considerare normale. Ma questa è un’altra storia.

Una risposta a “Il feticcio di Pitagora”

  1. […] Da chi vive fuori. Ma 210 mila euro non sono mica pochi. E pretendere che siano donati per assecondare un feticcio può essere solo due cose: una genialata o una […]

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