Ieri sera, sfogliando le notizie di fine giornata, ce n’é stata una che mi ha particolarmente colpito e rattristato: la morte di un ventiquattrenne a causa di una trombosi. Ne scrivo perché ancora non riesco a smettere di pensarci, mentre proseguono gli accertamenti per comprendere come sia stato possibile non accorgersi di nulla.

Parliamo di un caso sicuramente particolare, complicato (quasi certamente) da una patologia congenita sconosciuta alla famiglia, che ha portato un singolo coagulo di sangue a produrre diversi episodi ischemici in varie parti del corpo. Situazione sicuramente non frequente, forse persino aggravata da un precedente ricovero per polmonite.

Questo ovviamente lo accertanno i medici. Certo è che si tratta di una storia che mi ha ricordato molto la mia, quando nel 2015 ebbi una trombosi venosa superficiale che si estese fino alla vena poplitea: questo perché i dottori mi prescrissero una pomata contro il gonfiore, non capendo di cosa si trattasse.

Al tempo vivevo a Londra, ed i dottori (sia quelli dello studio medico che quelli in ospedale) si affrettarono a darmi una serie di pomate per un gonfiore che, a loro dire, era causato dalle troppe ore di lavoro in piedi. Portai quella trombosi dentro di me da agosto ad ottobre, quando, tornato a Crotone, mi feci visitare all’ospedale cittadino: ed ai dottori bastò uno sguardo per capire.

Ricordo chiaramente il timore e l’apprensione non solo (ovviamente) della mia famiglia, ma anche dei medici stessi, che mi ripetevano di una situazione molto pericolosa che avevo sottovalutato pure troppo. Pensavo esagerassero, pensavo non fosse così grave. Poi però di trombosi ne ebbi altre due, ed oggi devo ammettere di aver cambiato idea.

Ancora oggi mi sento indistruttibile, però. Mi sento d’acciaio, capace di sopportare il peso del mondo come Atlante. Ma è tutta una sensazione, irreale e sostanzialmente falsa. La gamba non è più quella di una volta, e lo sento: fa male, gonfia, arrossisce ad ogni minimo sforzo. Della pericolosità e dei problemi me ne rendo conto solo ora.

Ed è brutto, bruttissimo, leggere di chi non ce la fa. Di chi come me è afflitto da una patologia che quasi sempre non conosce, e che spesso si manifesta in maniera letale. Non puoi farci nulla. È la vita. E lo sappiamo, nulla è dovuto a questo mondo, forse nemmeno una spiegazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.