La morte di Giulia Cecchettin ha riacceso un dibattito in realtà mai spento. Se ne parliamo, oggi, è sicuramente per diversi motivi, che forse potremmo limitare a due macroaree: quella che riguarda il crimine in sè (che spazia dunque dall’atteggiamento del suo ex fidanzato alla premeditazione alla fuga e così via) e quella che riguarda la reazione famigliare e popolare (le parole della sorella, delle istituzioni, del mondo intellettuale e di noi semplici cittadini).

Si tratta di una vicenda sicuramente tragica, che purtroppo non sarà l’ultima. Nelle stesse ore in cui commentavamo questo efferato ed insensato delitto, i femminicidi non si sono di certo fermati. La politica propone “soluzioni” guardando alla scuola, pensando di educare chi verrà. Ma è davvero una soluzione applicabile? Davvero basta un’ora a scuola – tipo educazione civica – per diventare dei bravi ragazzi?

Per quanto possa essere un inizio, non ne sono sicuro. Così come non sono sicuro del fatto che si possa continuare a parlare di “patriarcato” per questi avvenimenti. Il suo assassino non è di certo un bullo di quartiere indottrinato dalla mentalità di strada, al contrario. Eppure, quel concetto di “possesso” lo ha portato ad uccidere, a 22 anni. Come se fosse una soluzione logica, in qualche modo.

Non fraintendetemi, non è la giustificazione fatta da qualcuno, ossia che era un bravo ragazzo e di buona famiglia: non centra nulla. Penso solo che è molto difficile inquadrare questo ragazzino in un contesto degradato a tal punto da indurlo ad un tale gesto. Non pare che la sua famiglia lo abbia abbandonato a se stesso, o lo abbia mai trattato in modo da farlo crescere con una sorta di disprezzo verso le donne. E quindi?

E quindi resterebbe la società circostante, il modello di vita che noi tutti abbiamo sotto gli occhi (ad uso e consumo, anche per quanto riguarda le persone). O è forse una questione innata, primitiva, quasi bestiale, e dunque fondamentalmente irrisolvibile?

Io tutto questo non lo so. So solo che questo concetto di “patriarcato” oggi rischia di diventare un feticcio al quale fare la guerra, senza però essere minimamente definito. Su cosa sia questo patriarcato infatti ci sono spiegazioni differenti, filosofie differenti, libri con argomentazioni differenti… oppure parliamo solo di un sinonimo di sottomissione?

Mi riservo di approfondire il tema (che qua si rischia di passare per un destrorso che vuole difendere la posizione) condividendo appieno le parole della sorella di Giulia quando afferma che non parliamo di “mostri” o “malati”, ed alla quale va dato il grande merito di aver tenuto una posizione salda in un momento così difficile nonostante gli assurdi attacchi subiti dalla politica.

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