Negli ultimi mesi, lavorando ad un progetto molto grande ed articolato, ho iniziato a prendere familiarità con un software che non conoscevo: Docker. Immaginate che fino ad oggi, per testare siti in locale continuano ad installare e disinstallare copie di Wamp e simili. Non si finisce mai di imparare.

A furia di lavorarci, di comprenderne il funzionamento e sopratutto i comandi, non ho potuto fare a meno di notare come, sebbene installato su Windows, fosse necessario un ambiente di sviluppo Linux. Questa cosa mi ha fatto storcere il naso, al punto di aver deciso di riconvertire un intero PC portatile ad… Ubuntu!

Se è vero che i primi amori non si scordano mai, con gli ambienti GNU/Linux è un po’ la stessa cosa. Avevo ancora un vecchio CD di installazione della versione 10.04 (e dunque di aprile del 2010), ricevuto a casa quando ancora Canonical li spediva. Dopo aver testato l’Uefi ho subito creato una pennetta con il buon vecchio Rufus, e nel giro di un’oretta avevo già il portatile bello e pronto con l’ultima versione attuale.

Rispetto a quando mi allontanai, devo ammettere che sono stati fatti diversi passi avanti. L’installazione è più rapida, con meno intoppi e problemi. Vengono riconosciuti subito tutti i dispositivi (sia con driver open che con quelli proprietari: poi scegli tu quale installare) ed è stato creato una sorta di app-store sulla scia di quanto avviene per gli smartphone.

Nel giro di pochi minuti, recuperati Thunderbid, LibreOffice, Code e Docker, mi sono reso conto di avere un clone del mio vecchio pc. Il tutto, con uno sforzo decisamente minimo rispetto al passato: ha fatto tutto il configuratore.

Adesso non mi resta che smanettare ancora tra container ed immagini, avendo ritrovato la gioia di digitare nel terminale e non nel prompt.

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