Tornare da un viaggio all’estero non è mai facile. Esiste e resiste in me quella voglia di scomparire in una grande città, una megalopoli da chissà quanti abitanti, dove tutto corre e nulla ha un senso se non la mera sopravvivenza. Ed ogni volta che, per qualche giorno, da Crotone mi sposto altrove, quella voglia si riaccende in me come un incendio.
Fuoco cammina con me, come si suol dire. Ed è un fuoco che mi divampa nello sterno, quando non appena rientrato mi riscontro con la vita di tutti i giorni. Con le difficoltà di tutti i giorni. Con quella posizione che tanto ho cercato di costruirmi, in passato, e della quale ora mi chiedo che farmene. A che servo, qui?
È vero che, di fondo, non serviamo da nessuna parte. Ma se così dev’essere, che senso ha torturarsi qui? In una città dove una settimana di ferie è un dramma e ti viene quasi fatta pesare? Una città invivibile sopratutto d’estate, e non per i caldo ma per i suoi abitanti, sporchi, rumorosi, arroganti, irrispettosi.
Vedere – e sentire – tutto questo dopo un giro poco fuori dall’Italia, urta il sistema nervoso. Accende una lampadina, ti fa rendere conto che passi in avanti non ne abbiamo fatti e difficilmente ne faremo. Una cosa che, inconsciamente, sappiamo un po’ tutti, ma che diventa lampante dopo qualche giorno di assenza.
Domani riprenderò il mio solito lavoro, con la solita gente, le solite lamentele, le solite chiacchiere, il solito nulla. E come ogni rientro, mi chiederò che senso abbia tutto questo.
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