Spesso, quando guardiamo una delle tante incompiute sparse in questa terra, ci affrettiamo a puntare l’indice contro la politica. Certo, questa ha una sua responsabilità, che spesso però si va a sommare con delle vere e proprie faide aziendali.

È il caso del teatro comunale di Crotone, in costruzione oramai da un ventennio e per il quale si susseguono solo ed esclusivamente annunci puntualmente disattesi. La sua “imminente apertura” è stata annunciata da quattro differenti sindaci: Pasquale Senatore, Peppino Vallone, Ugo Pugliese e Vincenzo Voce.

Mentre i primi due – Senatore e Vallone – hanno potuto godere di mandati decisamente lunghi (9 anni il primo e 10 anni il secondo), gli ultimi due hanno cercato di metterci del proprio dando un nome all’edificio, nel tentativo di assecondare ma sopratutto accontentare una parte di elettorato.

Queste scaramucce rappresentano bene il clima che si vive, quando si parla di opere pubbliche: nessuno è daccordo, ed ognuno cerca di prevalere a scapito degli altri. Che poi, alla fin fine, che ce fega del teatro? L’importante è cercare di avere l’ultima parola.

Il quadro, che avevo già ricostruito diversi anni fa, si è andato ulteriormente complicando. Questa volta, a fare un degno resoconto di un altro aspetto della vicenda c’ha pensato il Quotidiano del Sud, che in un articolo firmato da Giacinto Carvelli ha ripercorso la “guerra delle carte bollate” tra le varie aziende coinvolte nella realizzazione del futuro centro culturale.

Ne esce fuori un quadro davvero poco edificante. Un quadro dove ogni azienda cerca di scavalcare e prevalere. Ma sopratutto, un quadro complicato: serviva davvero coinvolgere tutti questi attori? Anziché semplificare, complichiamo, anche perché evidentemente conviene così.

Ma sopratutto, si evince l’incapacità del Comune nella gestione dei suoi stessi lavori. L’ente affida e revoca con una facilità disarmante, dando vita a contenziosi dai tempi lunghi. Ritardi su ritardi, rallentamenti su rallentamenti. Tanto, l’abbiamo già detto: del teatro importa poco. Quello è solo il tramite per mantenere in piedi questo teatrino.

Di creativo, in tutto ciò, c’è solo il modo con cui si continua a succhiare denaro che sembra svanire nel nulla. Un anno il teatro è quasi pronto, l’anno dopo è praticamente finito, poi ci entri e mancano ancora gli arredi. Non si capisce. Forse – probabilmente – è un effetto voluto.

Si saranno mai posti questa domanda, chessò, in prefettura?

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