A tentare di fare un paragone tra la resistenza ucraina e quella palestinese si viene fulminati con lo sguardo. Il doppiopesismo europeo era stato già denunciato allo scoppio del conflitto, con diversi articoli e reportage ripresi da Internazionale e da altre riviste del settore. Nonostante le differenze del caso, ci arroghiamo il diritto di scegliere da quale parte stare – dell’oppresso o dell’oppressore – in base alle nostre necessità, alle nostre amicizie. Nulla a che vedere con la solidarietà tra i popoli, nè con la “necessità” di contrastare le tirannie.

Un esempio eclatante, che altro non è che l’ennesimo esempio in decenni di conflitto armato, è l’uccisione deliberata di Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese di Al Jazeera uccisa da un cecchino dell’esercito israeliano che per sua sfortuna non è riuscito ad uccidere il cameraman, che ha denunciato l’accaduto. Come immaginerete, ne è nato subito un caso diplomatico, con i palestinesi che accusavano gli israeliani e viceversa. Un casino, che in fondo va avanti da anni.

Come se non bastasse, ieri proprio l’esercito israeliano ha caricato la folla presente al funerale della giornalista, rischiando di far cadere addirittura la bara. Cosa che ha fatto inorridire persino l’Onu, che ha chiesto l’apertura di un’indagine (alla quale nessuno sembra voler collaborare) e che ha portato anche gli Stati Uniti a chiedere spiegazioni su cosa sia successo.

Quello che è successo però è chiaro: l’occupazione di Israele procede con la solita violenza, che gli permette di uccidere sistematicamente in maniera indiscriminata ed impunita. In questo caso, addirittura una giornalista con tanto di pettorina, colpita dritta in testa. Quella che in altri contesti definiremmo una esecuzione.

Certe cose accadono quotidianamente in tutto il mondo. Solo che ce ne disinteressiamo. Anche perché non c’è gas, petrolio o economia che ci riguardi, in questi posti.

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