Preso dal lavoro non avevo neanche sentito di quanto accaduto nei giorni scorsi a Brasilia, dove i sostenitori (ma forse è meglio parlare di elettori) di Jair Bolsonaro hanno assaltato tre edifici governativi, ubicati nella stessa piazza.

C’è un ovvio parallelismo con quanto accaduto a Capitol Hill, non solo per le modalità impiegate (come l’organizzazione via social) ma anche perché Bolsonaro fa parte della stessa classe politica di Donald Trump, e come lui non ha condannato l’attacco e per ora se ne sta in disparte.

A me, per certi versi, ricorda anche quanto accaduto alla sede della Cgil a Roma. La matrice è la stessa di un secolo fa, quando la destra eversiva – che non è composta da pazzi o da mitomani, bensì da gente comune – si iniziò a chiamare fascismo. E la sua identità non è nell’atto dimostrativo in sè, ma nell’incapacità di accettare la sconfitta, ossia di essere una minoranza.

I sostenitori di Trump e di Bolsonaro sono convinti, allo stesso modo, che Biden e Lula siano “illegittimi”. Contro ogni numero, contro ogni realtà, contro ogni logica. Ma la convinzione supera tutto ciò, e permette di vedere scene del genere, con innumerevoli dettagli comuni, a partire dalla polizia che non interviene (e che si fa addirittura dei selfie).

Quel che mi viene da dire, è che in fondo viviamo in tante tribù con dei confini imposti. La pacifica convivenza tra le varie tribù che rappresentano le nostre società inizia a venir meno. E quando viene meno la ragione, sopraggiunge la forza. E la forza si manifesta in episodi quasi sempre inutili, fini a se stessi, ma che possono contribuire a peggiorare sensibilmente la vita di tutti.

È questo il futuro delle democrazie contemporanee? Sono destinate a soccombere, nuovamente, alla forza bruta? All’incapacità di accettare una sconfitta? Alla mancanza di rispetto reciproca tra chi forma le società in cui noi stessi viviamo?

In fondo, ha ragione chi sostiene che l’essere umano non è cambiato in millenni di storia: animale era ed animale resterà.

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