Oggi è stata una lunga giornata, scandita per lo più dall’attesa della sentenza sul processo Xenia. I giudici si sono pronunciati dopo quasi otto ore di discussione, smontando la totalità dell’impianto accusatorio.

Varrebbe la pena spendere molte parole sull’argomento. Tralasciando il fatto che io stesso ero convinto dell’innocenza di Lucano, appare evidente che l’intera accusa era campata in aria: dopo mesi di chiacchiere sull’affidamento della raccolta dei rifiuti alla cooperativa con gli asini, viene fuori che l’unico reato è un’abuso dufficio per una determina sindacale del 2017.

Nulla a che vedere con l’immigrazione. Nulla a che vedere con i “clandestini”. Nulla a che vedere con i presunti matrimoni combinati. E men che meno con il paventato “arricchimento” di Lucano, o con le millantate “sottrazioni” di fondi. Viene da chiedersi come ci siano finiti, tutti questi elementi, all’interno delle carte dell’accusa.

Ma la risposta è abbastanza ovvia, è rientra nel calderone della giustizia politica che la destra tenta di riportare in Italia sin da quando è al governo. Una giustizia astratta, fatta in nome delle proprie necessità: Lucano era un bersaglio ghiotto da colpire, in un periodo di accanimento contro l’accoglienza.

Guardandoci intorno, però, noteremo che i nostri problemi sono sempre gli stessi. In Italia aumentano gli sbarchi (anche senza l’intervento delle tanto osteggiate ONG) e noi, anziché adoperarci per gestirli, tentiamo di “bloccarli”. E visto che non ci riusciamo, facciamo terra bruciata dei percorsi di accoglienza e di aiuto radicati sul territorio.

I lunghi servizi televisivi sui presunti abusi di Lucano non saranno compensati da lunghi servizi televisivi che ne spiegheranno l’innocenza. Ormai il “modello Riace” è stato smantellato, e l’obiettivo in fin dei conti era quello. E dunque una sorta di vittoria di Pirro, i cui effetti si vedranno nelle prossime settimane. Per adesso, tutto tace.

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