Quest’ultimo Sanremo appena concluso è forse uno dei più “ribelli” che ricordi, visto lo strascico di polemiche che si porta dietro sin dalla prima puntata. E non parlo della gag pubblicitaria con Travolta, ma del fatto che sono state prese delle posizioni nette su ciò che accade nel mondo.

Ieri sera ad esempio, nel corso della finale, è stato importante l’appello di Ghali – che ha detto semplicemente “stop al genocidio” – al punto che oggi è già stata resa pubblica la critica di Israele (che ammonisce su ciò che si potrebbe vedere all’Eurovision).

Ma ancor prima di Ghali ci aveva pensato Dargen a fare un appello per la pace (anche quello, incredibilmente, criticato), e nel corso del live dalla nave da crociera – mi pare durante l’esposizione di Tedua – erano comparsi dei fogli disegnati a mano con la bandiera palestinese.

È da tanto che la musica – almeno quella mainstream – non prendeva posizioni così chiare e limpide. Che ovviamente non sono posizioni pro-Hamas (e chi lo afferma è in malafede), bensì pro-pace. Chiedere la pace, lo stop al conflitto, lo stop al genocidio… non dovrebbe essere percepito come un problema, al punto da voler censurare gli artisti.

Anche perché proprio gli artisti, negli ultimi decenni, hanno preferito un’immagine più morbida e soft, fatta di lustrini e fluidità al fine di non mettersi contro nessuno. E non era affatto scontato che qualcuno prendesse posizione, men che meno sul palco di Sanremo.

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