Zone di ricerca (via IlCarusoBlog)
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Nella giornata di ieri (13 Novembre 2016) si è svolta la manifestazione “Difendiamo il nostro mare”, promossa da numerosissime associazioni e comitati. Alla base della manifestazione troviamo “la volontà di difendere il mare dai danni derivanti dalla ricerca ed estrazione degli idrocarburi (petrolio e gas) dai fondali marini“. Insomma, un tema che ha scosso gli ambientalisti e gli animalisti, ma chè è più un tabù che un pericolo reale.

Iniziamo subito con il dire una cosa: la tecnica dellìAir-Gun (seismic blasting) è utilizzata attivamente da oltre 30 anni, anche in Europa. A livello internazionale, è riconosciuta come una pratica sicura. Tuttavia, come confermano diversi studi governativi (come quello pubblicato dall’ISPRA), ci sono ancora molti dubbi riguardo ai possibili effetti negativi della pratica. Di particolare importanza sono i possibili effetti sulla fauna.

La realtà, però, è molto diversa da quella che vorrebbero far passare i sedicenti “ambientalisti”. Questi infatti ne fanno più che altro una questione “di petrolio”, e rimarcano il concetto di trivelle, esplosioni, inquinamento e quant’altro. Roba che per ora non centra assolutamente nulla. E parlano di ipotetidi danni, subsidenza, terremoti e chi più ne ha più ne metta. Insomma, parrebbe in arrivo una catastrofe.

Queste persone però cercano (ancora) di attaccare quando il Governo quando delle pratiche di uso comune. Accentuano insomma quel divorzio culturale che tanto ci contraddistingue, ergendosi in questo caso a paladini “del nostro mare”. L’idea di “difendere il mare” è nobile, e non va di certo ostacolata: certo però che questa idea dovrebbe quanto meno avere un fondamento reale. Combattendo i nostri mulini a vento, non otterremo mai nulla.

Diamo allora uno spunto di riflessione a tutte queste persone che vogliono difendere il mare: l’air gun è l’ultimo dei nostri problemi, sopratutto in Calabria. Vediamo una piccola lista di problemi comuni che vanno avanti da anni, e per cui nessuna di queste associazioni, partiti, movimenti e comitati si è ancora spesa (compreso il nuovo sindaco).

Partiamo dai consigli spiccioli, ossia quello che possiamo fare noi, direttamente e senza intermezzi istituzionali. Roba che sentiamo da sempre, e che puntualmente ci ritroviamo ad affrontare ogni anno. Ad esempio, la questione dei rifiuti a mare. Sappiamo bene che non dobbiamo buttare carte a terra, in acqua o in spiaggia, eppure ci ritroviamo sempre a tirar fuori dal fondale copertoni, elettrodomestici, motorini ecc. Parliamo di ingombranti, ma anche di rifiuti generici, come palstiche, sigarette, buste, lenze, ami, bottiglie, polistirolo, cerotti, scarpe… e potremmo continuare.

Sembra poco, ma non lo è: sono tutti materiali che si deteriorano e decompongono in acqua, e finiscono per essere mangiati dai pesci (che poi mangiamo noi). Senza contare che proprio questi rifiuti possono compromettere la salute e la vita di questi animali: si pensi alla classica plastica nella quale si “incastrano” i pesci, ma anche ai liquidi delle batterie. E ancora, i bagnoschiuma e gli altri prodotti che vengono puntualmente usati alle docce pubbliche. Oltre che inquinare il mare, non aiutano neanche la sabbia.

Sarebbe bella una campagna di sensibilizzazione su questi temi. Una battaglia non politicizzata, ma comunale, perché questa è la difesa più semplice e immediata del mare. O no?

Ci sono poi gli argomenti più complessi, che in regione non scarseggiano. Primo tra tutti, lo sversamento di liquami non trattati in mare, per via del persistente e cronico malfunzionamento degli impianti di depurazione. Non è una cosa nuova, e nelle ultime due settimane (a seguito di controlli) sono stati sequestrati i depuratori di Belvedere Spinello e Rocca di Neto. Queste pratiche sono dannose non solo per il nostro mare, ma anche per i nostri fiumi: a seguito dell’aumento dei livelli di inquinamento, muoiono fauna e flora, indiscriminatamente. E poi, il tutto viene trasportato “a mare”, finendo per inquinare anche li.

La Calabria ha un problema enorme con i depuratori: più della metà degli impianti della Regione non funziona correttamente, e ci sono numerosi casi in qui i liquami di interi paesi vengono sversati in mare. In alcuni casi mancano proprio gli ammodernamenti, in altri invece sono stati installati sistemi artificiosi per manomettere la depurazione (ed evitarne i costi). Non succede solo d’estate, dove viene meno il nostro diritto a farci un bagno e quindi si alzano le voci, ma anche d’inverno (anzi, sopratutto d’inverno), quando il mare è giusto un contorno.

A questa condizione di disagio mai sanata, dobbiamo anche aggiungere due aggravanti: gli allacci abusivi della popolazione e gli scarichi di numerose aziende. I primi si adeguano da soli con tubi e pale, per portare gli scarichi delle proprie abitazioni nel torrente o nel fosso più vicino, i secondi si muniscono di automezzi e camion per buttare nelle acque scarti di produzione, olii e altri materiali che andrebbero smaltiti.

Sarebbe bella un’inchiesta su questa situazione, quanto meno negli oltre 30 impianti depurativi del Crotonese, anche solo per far conoscere ai cittadini che aria tira. E sarebbe quanto meno utile un controllo più serrato O no?

Insomma, brutte abitudini della popolazione e degli amministratori, certo. Ma anche criminalità organizzata. Siamo infatti una regione nota per le “navi dei veleni”, per gli smaltimenti illeciti di materiale tossico, per i sotterramenti “ignoti” in tutta la regione. Operazioni che vedono l’esplicita connivenza della classe politica, e che, nonostante tutto, non hanno mai colpevoli.

In questo simpatico insieme, non si delinea di certo una condizione “favorevole” a livello ambientale. La nostra regione non è selvaggia, è contaminata. Il mare, il “nostro” mare, non è da difendere, è da migliorare. Ed anziché avere paura degli sversamenti di petrolio e delle esplosioni delle piattaforme (che non sono trivelle, anche se ormai sono diventati erroneamente sinonimo), dovremmo avere paura di condizioni più reali alle nostre latitudini.

Il potenziale pericolo dell’air-gun è dato anche dall’uso che se ne fa. Sulla costa Atlantica degli USA se ne fa un uso enorme rispetto all’Europa, con sondaggi che vanno avanti anche per anni. Da noi invece, Francia, Spagna, Croazia e Grecia usano l’Air-Gun da tempo, ma con sondaggi di pochi mesi. Sono tutti nostri vicini, e a differenza delle centrali nucleari (che producono scorie, che vanno stoccate) le onde acustiche sono ad uso immediato. E non hanno muri o barriere: arrivano anche nelle nostre acque.

Ma questo forse agli ambientalisti non interessa, perché il tutto si concentra sul petrolio. Quando si parla di petrolio è un po’ come quando si parla di cemento. Non stupisce infatti che la Società Geologica Italiana nutra grandi perplessità su queste avversioni, e che tutti gli ambienti scientifici siano concordi. Quello che riguarda l’evenetuale estrazione del petrolio, ovviamente, non centra nulla con l’air gun. Dovrebbe essere ovvio, ma evidentemente non è così.

Queste persone dunque hanno un’idea piuttosto particolare di “difesa del mare”. Perché il loro intento sembrerebbe essere il tutelarlo da ogni forma di ricerca e sviluppo. Hanno paura del petrolio, della sua estrazione, del “ciclo sporco” che interessa la sua produzione e distribuzione. Hanno negli occhi le terribili immagini degli sversamenti in mare, degli uccelli che muoiono sotto il liquido scuro e denso, i pesci che boccheggiano.

Hanno in mente immagini di morte e distruzione. Ma chi ha detto che nelle aree interessate ci sia del petrolio? Magari c’è solo del gas naturale. O magari non c’è nulla! Il punto è che senza una prospezione, un controllo, non potremo mai saperlo. Rilancio dunque la mia idea: far partire il sondaggio del sottosuolo, e monitorarlo attivamente, al fine di avere un report dettagliato non solo delle attività, ma anche di eventuali effetti collaterali.

L’ottica di “bloccare tutto” con l’idea che sia una forma di tutela, è terribilmente vecchia e superata. E’ triste vedere come tutti i partiti d’opposizione si siano coalizzati in una difesa più ideale che reale del mare. Anche perché si continua a parlare del “nostro mare”: ma parliamo di acque non territoriali, sulle quali noi (comune, provincia, regione) non abbiamo alcuna competenza.

Il mare non è “nostro”. Il mare nostro (quello su cui abbiamo dirette responsabilità e possibilità di intervento) è quello entro le 12 miglia. Ed è li che si dovrebbe creare una forte coesione, sociale e politica, per evitare che tutte le principali forme di inquinamento ci arrivino, in mare e nei fiumi. Noi, di “nostro”, dovremmo fare questo. O no?

Compito che puntualmente disimpegnamo, perché tanto possiamo combattere l’air gun, il petrolio, le trivelle, le piattaforme… i classici non-problemi che però hanno la meglio nella discussione comune. E focalizziamo banchetti, fogli e carta stampata (ma anche prodotti in plastica, come tavoli, sedie e bandiere) per combattere dei mulini a vento, anziché sensibilizzare la popolazione locale sui 28 allacci abusivi “senza proprietario” nel torrente Papaniciaro, dei 3 “sfoghi di emergenza” presenti nella spiaggia cittadina, e degli alti livelli di inquinamento confermati di anno in anno.

Solo così facendo si difende, davvero, il mare. Il resto, per quanto belle, sono solo parole.

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