Leggo, in queste ore, le spasmodiche dichiarazioni dell’entourage destrorso che si preoccupa di un provvedimento che definisce “marxista”. Parliamo ovviamente della tassazione sugli extraprofitti bancari, norma spuntata a sorpresa nel decreto omnibus e che ha colto tutti alla sprovvista, anche perché difesa a spada tratta sia da Salvini che dalla Meloni.

Ancora non ci sono cifre e numeri certi, nè sulle percentuali nè sui fondi che ci si auspica di recuperare – stimati in “qualche miliardo” – ma il solo annuncio della tassa è bastato per affossare le borse e scatenare un vero e proprio putiferio bipartisan. Anche se, a spiccare su tutto, sono le dichiarazioni di tanti esponenti di destra che parlano di provvedimento “marxista” e “sovietico“.

Ok, sono parole usate a mò di insulto, e forse forse l’appellativo sovietico ci sta pure. Quel che non ci sta per niente è il marxista: Marx cercava di spiegare come fosse necessario far pagare le tasse a tutti, sopratutto i grandi monopoli che trovavano sempre nuovi sistemi per eludere i versamenti. Non è forse giusto, questo ragionamento?

E sempre Marx ipotizzata una sorta di tassazione progressiva, sintetizzata nella famosa massima “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni“, ma difficilmente leggerete di Marx che spiegava come tassare gli extraprofitti delle grandi società, perché per lui l’extraprofitto era la differenza tra il valore sociale ed il valore di produzione della merce.

Non è, come sostiene qualche “politico”, il concetto del plusvalore. Quello è un altro discorso. L’extraprofitto è quello che vedete ogni giorno quando volete fare shopping online: oggetti a basso costo, non solo per la qualità dei materiali usati ma anche per il fatto che sono prodotti in luoghi dove il lavoro costa meno (con tutto ciò che ne consegue) e per cui il valore aggiunto della vendita è tutto a beneficio del venditore.

L’extraprofitto sta nello sfruttare il lavoro del proletario o del subproletario (che oggi chiameremmo senza problemi immigrato o straniero) per massificare una produzione. Il tutto nell’ottica di due altri grandi concetti marxisti: il processo di accumulazione e l’intensificazione della concorrenza, capisaldi del capitalismo malato ed oggi sotto gli occhi di tutti.

E dunque, se di certo si può dire che una tassa sui profitti non sia affatto una cosa-da-destra, resta da capire cosa centri il marxismo, che se studiato ci offrirebbe tanti spunti su come correggere la sottomissione economica alla quale ci prostriamo.

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