Nella giornata di ieri qualcuno ha pensato di appiccare un bell’incendio sui calanchi, precisamente nell’area a ridosso di Parco Samà e, più in generale, del Carmine. Si tratta del primo grande incendio della stagione, e di certo non sarà l’ultimo: da qui a settembre infatti saranno diversi i fuochi che si svilupperanno lungo tutto l’arco collinare urbano ed extraurbano, e ci ritroveremo, come sempre, con i calanchi tutti neri.

In una città dove quantomeno online si discute fortemente dello scempio a ridosso del Sovereto (ogni anno oggetto di ripetuti incendi, spesso gravemente devastanti), non trova spazio il dibattito sugli incendi cronici ai calanchi. Incendi che interessano ogni singola area aperta cittadina nel periodo estivo, dal Parco Pitagora (ex Pignéra) al Vescovatello, dal Timpone Rosso al Santa Lucia. Eppure, anche quello è ambiente, è natura.

A sentire i cittadini, oltre allo scazzo di dover stare con le finestre chiuse e non poter stendere i panni fuori, i più considerano gli incendi una cosa positiva: dicono che “puliscono”. Da cosa non si sa, ma probabilmente ci si rifà al vecchio uso di bruciare i campi per allontanare (o ucciere) alcuni animali selvatici. Animali come le bisce, per esempio, frequenti e comuni ancora oggi, ma pur sempre rari da vedere in città.

Il danno dei continui fuochi è incalcolabile, non tanto per l’impatto ambientale (la macchia mediterrane è costituita da piante forti, veraci, che riscresceranno benissimo e senza problemi) ma per via della continua stratificazione delle ceneri. Stratificazione che avviene su di un terreno già di per sé impermeabile, e che contribuisce ad un minore assorbimento dell’acqua piovana, che finirà per riversarsi – sempre in quantità maggiori – sulle strade cittadine.

Incendiare i calanchi è un’operazione inutile, che non giova praticamente a nessuno. A rimetterci sono la fauna locale, composta non solo da bisce ma anche da lepri (che soprendentemente vivono ancora in libertà) e diversi tipi di uccelli, ma anche noi cittadini: la terra bruciata non solo è brutta da vedere, ma aumenta anche il calore, contribuendo all’afa che di certo non ci manca.

In tal senso, la prevenzione è minima, ma è anche difficilmente applicabile. Si tratta di un fenomeno prettamente culturale, che trova le sue radici in un “pericolo” oramai infondato da debellare preventivamente, o, come purtroppo abbiamo avuto modo di vedere, di un fenomeno strettamente criminale.

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