Quest’oggi si è potuto finalmente leggere ‘sto benedetto Hybrid Bullettin, desecretato dopo il polverone alzato da un articolo apparso sul Corriere della Sera qualche giorno fa. Si tratta solo dell’ultimo bollettino confidenziale, del quale esistono delle stampe precedenti che a quanto si apprende sarebbero state visionate della giornaliste, ma non desecretate. In ogni caso, è opportuna qualche riflessione sullo stato del giornalismo, dei servizi di intelligence e sulla sempre più labile linea di confine tra interpretazione e fake news.

Partiamo dal giornalismo. Oramai ripeto da tempo che al Corriere stanno perdendo colpi, e questo è l’ennesimo caso lampante ed evidente di un giornalismo stanco, deprecato e scadente. L’articolo è stato pubblicato con un evidente fine scandalistico, volto a sottolineare come esista un gruppo di persone “controllate” (su questa parola ci torniamo) da funzionari dello stato per le loro opinioni. Sebbene il pezzo non utilizzi termini poi espressi su altri giornali (come “liste di proscrizione”) e divenuti comuni nel dibattito di questi giorni, il senso trapelato era quello.

Ora, è bene sapere che questo documento confidenziale non è nato da un giorno all’altro, ma fa parte di un’indagine svolta dal Copasir sui contenuti pubblici ritenuti troppo vicini al Cremlino. Il sospetto – come diversi anni fa ci fu in merito ad alcune elezioni – è che la propaganda russa abbia dei soliti esponenti in Italia, pronti a veicolare il pensiero di Mosca al fine di dargli visibilità e renderlo appetibile o quanto meno verosimile. Qualcuno evidentemente ha passato questi documenti riservati (che non contengono nulla di segreto, in quanto ripropongono post sui social e dichiarazioni espress in tv) alle giornaliste, che si sono prese l’onere e l’onore di diffonderlo mezzo stampa.

Considerando che si tratta di informazioni pubbliche non c’è nulla di male. Il problema, semmai, è stata la decisione arbitraria di pubblicare gli estratti del documento: possibile che nessuno all’interno del Corriere della Sera abbia minimamente pensato del casino che andava ad alimentare rendendo noti  dettagli di un documento classificato diffuso solo in ambienti interni al Governo, per altro in un momento così delicato? Io penso che l’abbiano pensato eccome, ma alla fine si è preferito rischiare per l’esclusiva (e tutto ciò che ne comporta).

Veniamo ora al Copasir, ed al lavoro dell’intelligence, che appunto verifica lo stato dell’arte e colleziona dati ed informazioni su persone attenzionate. Non dovremmo stupirci se i servizi segreti fanno dossieraggio: è una brutta parola retaggio di anni bui, ma intendiamoci, oggi noi gli facilitiamo di molto le cose. Le informazioni pubblicate nel bolettino erano tutte pubbliche, prese dunque dai profili social e da trasmissioni televisive o radiofoniche.  Non parliamo dunque di un lavoro di analisi complessa, ma solo di monitoraggio. Un lavoro dunque rivolto a chi si è espresso pubblicamente a favore del Cremlino, e non a tutti i tipi-da-social che in queste ore si sentono spiati.

Tale indagine è da inquadrarsi a seguito delle polemiche nate nei mesi scorsi riguardo la presenza di ospiti filo-russi in molti talk-show nazionali, che ha alimentato un vespaio di polemiche anche a livello europeo. Anche per questo motivo il Copasir ha attenzionato le trasmissioni pubbliche, evidenziando una rosa di personaggi con posizioni ritenute troppo vicine alle versioni propagandate da Mosca, e dunque possibili conniventi di una fantomatica propaganda. Se la parola dossieraggio non vi piaceva, il concetto qui espesso è ben peggiore, ma tant’è.

Questo atteggiamento apre ora l’ultima parentesi di questa riflessione: quali sono le fake news sul conflitto russo-ucraino che il Copasir vuole contrastare? Perché qui entriamo in contesto molto variegato, dato che nel bollettino è incluso anche chi dice cose notoriamente vere e riconosciute. Riporto un passaggio del bollettino (che potete leggere qui):

l’uccisione in territorio ucraino di numerosi giornalisti di guerra; secondo Alberto Fazolo, economista iscritto all’albo dei giornalisti del Lazio come pubblicista ed intervenuto durante il programma “DiMartedì” (in onda su La7), il numero di reporter rimasti uccisi in Ucraina negli ultimi otto anni ammonterebbe a circa ottanta, introducendo così un nesso di consequenzialità tra l’elevato numero di decessi dei giornalisti e la presenza sul quel territorio di formazioni para-militari di matrice neonazista (come il Battaglione Azov).

Nello specifico, non c’è ancora giustizia per la morte di Andrea Rocchelli, ucciso dai militari ucraini nel 2014 e probabile riferimento di questo tizio. Ed assieme a lui, di tanti altri reporter di guerra che dal 2014 muoiono nel fuoco incrociato tra separatisti filorussi ed unionisti ucraini. Si tratta di un dato di fatto: perché è incluso nella lista delle falsità pro-russe?

In Italia sicuramente il clima è stato eccessivamente polarizzato, e questo ci impedisce di guardare con chiarezza alla storia recente di questi due paesi. Anche la stampa nazionale, che fino a qualche anno fa parlava del battaglione Azov come ritrovo di criminali estremisti di mezza europa, ora lo santifica e lo paragona alla resistenza, ai partigiani. L’ho già detto e lo ripeto: abbiamo scelto molto velocemente da che parte stare, perché l’occasione di colpire il “nemico” (la Russia) era troppo ghiotta. Questo mio pensiero non vuole giustificare in alcun modo il conflitto, ma tanto basterebbe a farmi includere nella suddetta lista.

E allora, tutte le parti in causa dovrebbero fare una bella pausa ed inquadrare la guerra in corso per quello che è: uno scontro tra due nazionalismi, dove nessuno dei due è da supportare.

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