Oggi pomeriggio diverse testate giornalistiche – sia locali che nazionali – hanno pubblicato parte dei tre video depositati nel corso del processo sul naufragio di Steccato di Cutro. I filmati sono stati girati dai primi soccorritori giunti sul posto, ed uno dei tre (il più lungo) riprende i momenti immediatamente successivi al naufragio.

Le immagini sono state acquisite dal Tribunale di Crotone nell’ambito del processo che ha due filoni attivi: uno riguarda i presunti scafisti (e dunque i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di morte come conseguenza di altro reato) e l’altro la macchina dei soccorsi. Proprio uno dei pascatori ha ribadito che non c’era nessun altro a parte loro, e tale dichiarazione sarà molto importante.

Ad ogni modo, non volevo scrivere (nuovamente) di questo. Volevo porre l’attenzione sull’opportunità di pubblicare quei video. Perché si, sono video drammatici, brutali, dove si vedono cadaveri e feriti, dove si ascolta gente che urla e chiede aiuto poco prima di morire. Perché pubblicarli? Cosa apportano in più alla notizia?

Nulla. Non apportano proprio nulla, se non qualche click facile per chi ne è riuscito a venire in possesso, ed ha deciso di pubblicarli ugualmente in barba al tanto chiacchierato codice deontologico. Inutile dire che a distanza di qualche ora più di qualcuno si è appropriato del filmato e lo ha ripubblicato, con tanto di crediti a chi ha fatto i montaggi.

In buona sostanza, ci avviciniamo al primo anniversario della tragedia, e gli avvoltoi sono ancora li che aleggiano sullo stesso spechio d’acqua.

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